Il posto era bello, noi eravamo i tipi che nonostante le storture del destino riuscivamo a trovare bellezza in ogni dove. Gli artisti hanno questo dono: scorgere bellezza, contemplarla e trovare un modo, uno qualunque per trasmetterla, per creare unione, fratellanza, amore. Già l'amore, ogni tanto ci pensavo ma era come se non avessi tempo. Amavo già tutto, e amavo anche ciò che mi sembrava di odiare. A volte mi sorprendevo a ridere di me stessa perché forse amavo anche quel sole di mezzogiorno che tanto mi infastidiva, tanto mi prendeva in giro, come i miei compagni, fratelli di un percorso sconosciuto che nascondeva dietro le difficoltà qualcosa di meravigliosamente affascinante. E forse quello mi bastava. Tutti eravamo spiriti liberi, liberi liberi. Non avevamo che noi stessi e tutto il bagaglio interiore che univamo per dare vita a qualcosa che sconvolgeva i nostri stessi sensi e ad ogni prova, ad ogni ballo, ad ogni sonata eravamo quasi sfiniti da un'estasi magica e conturbante.
Era il momento di accamparci. Avevamo trovato una pensione in pieno centro, ma costava poco. Tutto era vagamente medioevaleggiante e mentre camminavamo a piedi, sudati e affamati e stanchi verso il nostro riparo, ci guardavamo attorno come se mai avessimo guardato qualcosa, o sentito , o udito e lo stupore pervadeva i nostri sensi facendoci scambiare sguardi complici di nuove ispirazioni, non serviva parlare, avevamo imparato che bastava sentire, e guardandoci facevamo circolare il nostro sapere, l'unione diventava un silenzio sacro scandito solo dai nostri passi che si sincronizzavano immediatamente, ogni parte del nostro corpo, per quanto stanca, riprendeva vigore e come una danza tutti ci muovevamo secondo un ritmo lento, calmo, lussurioso, all'unisono.